Riformare…cosa? dal contenitore al contenuto
Udine – Sala polifunzionale dell’ospedale S. Maria della Misericordia.
25 settembre 2018.
In veste di presidente di CARD FVG, ringrazio il Presidente Riccardi e il Direttore Cortiula di quest’invito.
L’Associazione degli operatori sociosanitari dei servizi territoriali CARD FVG, componente della società scientifica CARD Italia, si dichiara disponibile e pronta ad offrire il contributo di competenze, di esperienze e punti di vista di chi lavora sul campo nei servizi sociosanitari territoriali, per proseguire nell’impegno assunto dal decisore politico di questa Regione, di migliorare il percorso di riforma del SSR avviato nel 2014.
In questa sede ci sentiamo di proporre alcune riflessioni che riteniamo utili ad un percorso di riordino (o di riforma) che dovrà procedere e svilupparsi, a nostro parere, con uno sforzo da parte di tutte le componenti del sistema nel suo complesso e della collettività stessa.
In primis riteniamo che in tutto questo processo non si debbano perdere di vista i bisogni della popolazione, a cui il Sistema dei Servizi Sanitari deve essere orientato. A questo proposito è necessario tenere ben presente il grande cambiamento epidemiologico degli ultimi decenni, che ha portato in primo piano assoluto le malattie non guaribili, di lunga durata, quelle cioè appartenenti al campo della cronicità. Sul tema si esprime ampiamente e approfonditamente il recente Piano Nazionale della Cronicità, che riteniamo debba essere uno dei pilastri nell’orientamento dei cambiamenti e degli sviluppi da attuare nella sanità del nostro Paese e della nostra Regione.
Ciò ci porta a convergere l’attenzione sui contenuti del processo di riforma, prima che sulla configurazione organizzativa del Sistema, cioè sulle modalità di intervento oggi necessarie per la tutela della salute.
Basti qui ricordare che
- L’86% delle cause di morte è legato a malattie croniche;
- il 40% della popolazione generale è affetto da almeno una malattia cronica;
- Più del 50% delle persone di età superiore ai 50 anni è affetto da più di una malattia cronica e che il problema della “polipatologia” accresce con l’andare dell’età;
ed inoltre che oltre il 70% dei degenti nei nostri ospedali, si trova ricoverato per una malattia cronica riacutizzata o per polipatologia cronica.
Osservando obiettivamente che ancora oggi i Sistemi Sanitari pubblici, come il nostro, sono prevalentemente incentrati sul sistema ospedaliero (per il dispiegamento di risorse, per la qualificazione delle professionalità, per la disponibilità di mezzi di cura, per le tecnologie avanzate impiegate, ecc.), appare evidente che una riforma, che parta dai bisogni, non possa trascurare una profonda revisione dell’organizzazione dell’attività e del funzionamento degli ospedali.
Ciò richiede il superamento di un modello che in larga misura è rimasto fedele al disegno organizzativo/funzionale del 1968, ancora tarato sulla gestione della malattia acuta, perciò rigidamente suddiviso in strutture e discipline separate, ma in cui invece si rende ineludibile e urgente oggi lo sviluppo di modalità di lavoro multiprofessionali e interdisciplinari, orientate a operare per processi e con una visione ispirata alla continuità di cura.
Prevede inoltre, a nostro giudizio, un profondo ripensamento e potenziamento delle attività rese in regime ambulatoriale, che rappresentano il punto principale di legame fra il contesto di cura degenziale e quello domiciliare, indispensabile per la gestione delle cure di lungo termine. Un ripensamento che affronti soprattutto le modalità di accesso e fruizione delle prestazioni ambulatoriali, che integri e superi quelle attualmente poste in essere (CUP, priorità cliniche) ormai insufficienti a fronteggiare il problema delle liste d’attesa. Un’attività specialistica che deve, per buona parte, essere strettamente connessa con il sistema delle cure primarie
Una “riforma” che abbia questa ambizione non può riguardare solo il livello politico, ma richiede un impegno sostanziale anche di quello tecnico-professionale. Gli Ordini e i Collegi, devono poter offrire il loro apporto per un cambiamento culturale e del modus operandi dei professionisti. Un cambiamento che richiede l’attuazione di appositi percorsi di formazione, a tutti i livelli, che non possono che fondarsi su uno sforzo continuo e diffuso, che veda l’Università fortemente protagonista e strettamente collegata con la realtà operativa del mondo della sanità, come ha iniziato a fare negli ultimi anni in questa Regione. Anche agli organismi di tutela dei lavoratori, a nostro giudizio, devono impegnarsi a favorire un cambiamento evolutivo, nel rispetto dei diritti, ma assumendo in modo strategico un ruolo che a volte è stato interpretato invece in modo troppo rigido, e guidato solo dall’applicazione pedissequa di norme e contratti.
La riforma infine deve necessariamente richiedere il coinvolgimento soprattutto della cittadinanza, a partire da chi l’amministra, ai corpi intermedi delle comunità, fino ad arrivare al singolo cittadino che oggi si pone di fronte al mondo dei servizi e dei professionisti sanitari con un atteggiamento giustamente più esigente, non supino alle scelte ed alle decisioni che i tecnici del settore sono chiamati ad assumere. Un cittadino che non può più essere considerato solo “paziente”, ma soggetto autonomo, consapevole, titolare delle scelte che riguardano la propria salute, a cui si impongono però, proprio per questo, doveri oltre che diritti.
In merito ai servizi sanitari territoriali, e in particolare al tanto declamato “potenziamento” dei distretti, l’associazione CARD, che ha proprio nei distretti la sua origine, richiama l’attenzione sulla concreta applicazione degli intenti, ormai troppe volte solo dichiarati, ma purtroppo non messi in atto con la necessaria decisione e con il relativo investimento.
Lungi da presumere di poter esaurire in poche battute un argomento così complesso, si ritiene di rappresentare in questa sede almeno alcune preoccupazioni. Innanzitutto che la volontà di definire e realizzare un “distretto forte” non si traduca semplicemente nell’equazione “distretto grande = distretto forte”. Che non si intenda limitare il ruolo del distretto a semplice committente-controllore, quanto piuttosto si dia realizzazione coerente al disegno tracciato dalla legge regionale del 2014, rafforzando la capacità di governo e di risposta del distretto per l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza che gli competono.
Una capacità che deve basarsi sulla disponibilità di risorse e di mezzi, anche economici, di intervento. Per esempio attraverso la disponibilità di un fondo economico sociosanitario integrato, per attivare in via immediata interventi e provvedimenti necessari a garantire l’assistenza e la cura, in sicurezza, delle situazioni sempre più complesse da punto di vista sociosanitario, emergenti nel territorio.
Un ruolo di governo che deve poter disporre con maggior autonomia e poteri delle professionalità centrali nell’ambito delle cure primarie, cioè dei medici di medicina generale (comprensivi anche dei medici impegnati nei Servizi di Continuità Assistenziale) e dei pediatri di libera scelta.
L’assistenza primaria richiede oggi nuovi profili di medico generalista, che deve essere pronto e attrezzato ad operare in diversi ambiti di intervento e contesti di cura. Ciò pone in primo piano l’esigenza di un profondo ed urgente cambiamento del modus operandi anche dei medici la cui attività è oggi regolata da strumenti contrattuali ampiamente superati e inadeguati.
Gli aspetti qui toccati, senza alcuna pretesa di esaustività, delineano, secondo CARD, alcune importanti traiettorie di un percorso di crescita e di evoluzione del Sistema Sanitario Regionale che si auspica l’imminente percorso legislativo sulle funzioni di governance possa avviare.